la cifra autoriale del gran sasso 

di cesare re

Gran Sasso, Corno Grande e Corno Piccolo. Fotografia Infrarosso Bianco e Nero. 

Mancano solo Bambino e Trinità, ovvero Bud Spencer e Terence Hill, con la sua “brandina ippica”, saldamente legata al generoso cavallo. Io, però, li vedo a lato strada, a Campo Imperatore, così come Etienne Navarre e Isabeau, meglio in versione umana, alias Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer. Tra i tanti film girati in Abruzzo e, in particolare, a Campo Imperatore, ci sono anche “Lo Chiamavano Trinità” e  “Ladyhawke”. Sopra la piana, troneggiano cime di rocce chiare, con colori argentei, peculiarità del Gran Sasso e dei suoi satelliti. Spesso sento dire che l’estetica di queste montagne ricorda molto le Dolomiti, oppure che queste cime non hanno nulla da invidiare alle grandi montagne del nord. Questo approccio, però, mi piace poco. Tende a confondermi le idee. Amo le Dolomiti da quando sono senziente, però dopo aver visto e ammirato di persona il Gran Sasso, non posso non pensare che questa cima abbia una sua estetica propria e una sua anima assolutamente peculiare, un modus vivendi  addirittura personale, direi. Quindi niente epiteto di “Dolomiti del Sud”, per me, ma proprio Gran Sasso, per quello che è questa montagna, per la sua estetica, per la sua personalità. Insomma, per me, il Gran Sasso ha “cifra autoriale” sua propria, come si usa dire, in fotografia, per gli autori più quotati.  “Dolomiti del Sud” oppure “non ha nulla da invidiare alle montagne del nord” sono però i concetti che mi passano per la testa, quando in auto mi trovo a percorrere l’autostrada del sole. Un tragitto inusuale, per me, per fotografare la montagna. In genere, mi muovo verso nord, est o ovest. Non mi è mai capitato di andare sulle cime del sud. La curiosità di vedere il Gran Sasso, Campo Imperatore, i boschi d’Abruzzo e qualche borgo, tra un a montagna e l’altra, è intensa e costante, km dopo km, sino alle vicinanze di Teramo, quando i profili del Corno Grande e del Corno Piccolo appaiono in un fosco cielo azzurro, soffusi, quasi disegnati, comunque piuttosto lontani, come fossero solo un’idea, l’indizio di un soggetto fotografico, ma nulla più. E’ concreta, palpabile e viva, invece, la mia esaltazione al mattino seguente quando risalgo la rotabile che da Fonte Cerreto si snoda verso Campo Imperatore, costeggiata da un bosco fitto, quasi mediterraneo, così diverso da quelli alpini cui sono abituato, per poi sbucare, tra prati punteggiati da alberi solitari, sulla piana sovrastata da docili crinali e cime a panettone. Poi, improvvisamente dopo un tornante, spunta il Gran Sasso. Si vede solo la cima che si erge dai contrafforti erbosi che delimitano una parte della piana di Campo Imperatore. E’ già un bel preludio di bellezza che diviene un costante leitmotiv nel momento in cui percorro la strada piana che penetra tra le montagne, rocciose a destra e docili ed erbose a sinistra. Ed eccolo, d’improvviso, imponente, roccioso, grande, il Gran Sasso, che attira la luce calda dell’alba e si tinge di arancio. Salendo di quota cambia ancora forma, lo sguardo diviene più ampio abbracciando anche, tra gli altri, il Pizzo Intermesoli e il Pizzo Cefalone che, dal Nido d’Aquila, diventano quinte naturali di un paesaggio d’ampio respiro che cattura lo sguardo, mi increspa la pelle, mi emoziona, anche per la “cifra autoriale” di cui sopra, un modo di essere che, per me, da oggi gli varrà anche il suo nome proprio e peculiare di “Gran Zasso”, con la “Z”,  come lo chiama la gente d’Abruzzo. Uno slang che mi piace molto e che lo rende ancora più unico, personale, autoriale appunto.

 

 

Tre scatti verticali tra terra e cielo, con le nubi che impreziosiscono le immagini. Una delle caratteristiche della fotografia con luce invisibile, dell’infrarosso, è proprio il cielo netto e contrastato, con le nuvole bianche che si stagliano da un cielo scuro e drammatico. Ovvio che il risultato dipende anche dal tipo di post produzione, indispensabile per sviluppare il file RAW che, altrimenti, risulterebbe essere totalmente rosso. Nikon D7000, modificata infrarosso 720 IR; Nikkor 70-200 AFG; f4; Filtro polarizzatore.   

Nubi grigie e nubi bianche, una differenza dovuta ad un taglio di luce che filtra tra le nuvole. Una semplice questioen di attimi. Entrambre con Nikon D7000, modificata infrarosso 720 IR; Nikkor 70-200 AFG; f4; Filtro polarizzatore. 

 Lentezza o velocità, in fotografia

Una cosa è sicura, o quasi: il paesaggio non corre! E’ fermo, per quanto le condizioni di luce rendano mutevole l’estetica di un luogo, così come la presenza o meno di nuvole. La fotografia di paesaggio, per me, può anche essere definita come una sorta di “elogio della lentezza”. Ci sono, però, momenti in cui la frenesia di scattare può stravolgere questo tipo di approccio. Occhio, mente, dita si muovono all’unisono su ghiere e tasti della fotocamera, intenti a gareggiare con la velocità di nuvole ed effimere pennellate di luce, oppure semplicemente perché il tempo da “sottrarre” all’escursione o alla salita è veramente poco. Insomma…non che si scattino immagini a raffica, tipo 10 paesaggi al secondo, ma può essere necessario immagazzinare immagini con una certa solerzia.  

Corredo fotografico infrarosso, per un paio di giornate in Abruzzo

In questa mia breve sortita abruzzese, ho scattato immagini sia in luce visibile, sia in luce infrarossa. Avevo necessità di limitare il peso e mi servivano, quindi, ottiche adatte sia per l’infrarosso, sia per la fotografia tradizionale. Ho scelto, quindi, di sobbarcarmi il peso dei due zoom Nikkor 17-35; f 2,8 AFS e Nikkor 70-200; f 4 AFG, da utilizzare sia sulla Nikon D7000 (modificata IR 720), con la quale ho scattato le immagini di questo post, sia sulla Nikon D810, per la quale ho usato molto spesso il Nikkor 24-70 f 2,8 AFG. Quest’ultimo, però, non ha un buon rendimento in infrarosso, in quanto affetto dal problema dell’HOT SPOT, soprattutto alle focali corte. HOT SPOT è una sorta di grande flare che appare in centro all’immagine. Ingombrante e molto fastidioso si può eliminare in posto produzione, per esempio con timbro clone, con un lavoro da vero certosino. Meglio evitare, insomma. Per la D810, però, rimane un’ottica insostituibile e di grande qualità.  

Se ti interessa la fotografia infrarosso, ne ho parlato anche qui: 

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Dolomiti Invisible Light

 

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